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  • La ricetta emessa dal medico veterinario va considerata come certificazione, scrittura privata o altro?
     La ricetta medica, espressione della potestà di cura, rappresenta un atto certificativo facente fede dello stato di malattia del paziente, il cui trattamento necessita della terapia prescritta (Cassazione Penale, Sentenza IV sez. 08.051/1990: "la ricetta ha natura di certificato per la parte ricognitiva del diritto dell'assistito all'erogazione dei medicinali"). La ricetta, in questo senso, può avere natura di atto pubblico o di certificazione amministrativa; distinzione rilevante per la maggiore severità con cui vengono puniti gli illeciti nella redazione degli atti pubblici: nell'atto pubblico si attestano fatti compiuti dal medico con funzioni pubbliche o avvenuti in sua presenza, mentre nella certificazione amministrativa il medico con funzioni pubbliche attesta fatti da lui rilevati o conosciuti nell’ambito della sua attività. Sia l'atto pubblico che la certificazione amministrativa si fondano sul presupposto essenziale che il medico veterinario li rediga nell'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) o incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.). In tal caso, il certificato (la ricetta) sarà atto di fede privilegiata, facente fede, cioè, fino a querela di falso, poiché dotato di rilevanza giuridica esterna (Cassazione Penale Sentenza V Sez. n. 32446/2013). Diversa è l'ipotesi di ricetta rilasciata dal medico veterinario libero professionista, che è considerata una scrittura privata (art. 2702 c.c.), avente tuttavia rilievo sul piano penale (art. 481 c.p. “Chiunque, nell'esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 51 a € 516. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.”)  Per falso ideologico si deve intendere qualsiasi attestazione non veritiera e, perché il reato sussista, occorre il cosiddetto dolo generico, vale a dire la consapevolezza che quanto si sta attestando non sia veritiero, senza che vi sia necessariamente l'intenzione di agire scientemente a danno di qualcuno o qualcosa. 
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